Impugnabilità del diniego di variazione catastale e decorrenza delle rendite

La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n 5454/2025, affronta una controversia tra l’Agenzia delle Entrate, un Comune e una a società Alfa S.r.l., relativa a una variazione delle rendite catastali e al successivo avviso di accertamento per IMU non versata nel 2014.

Il contribuente aveva presentato istanza per la revisione della rendita catastale, ritenendola calcolata erroneamente sulla base di un saggio di fruttuosità del 3% anziché del 2%. 

L’Amministrazione finanziaria aveva rigettato la richiesta, definendola come diniego in autotutela e dunque non impugnabile.

L'Agenzia delle Entrate e il Comune sostenevano che:

  • l’atto fosse da considerare diniego di autotutela, quindi non autonomamente ricorribile.
  • anche se fosse stata ammessa la variazione, non avrebbe potuto produrre effetti retroattivi.

Impugnabilità del diniego di variazione catastale e decorrenza delle rendite

La Corte di Cassazione conferma un principio consolidato: il diniego espresso o tacito dell’Amministrazione a una richiesta di variazione catastale è atto impugnabile dinanzi al giudice tributario.

Viene richiamato l’art. 19, comma 1, lett. f), del D.Lgs. 546/1992, che considera impugnabili «gli atti relativi alle operazioni catastali», tra cui rientra pienamente anche il mantenimento di una rendita errata.  

La Cassazione ha affermato il seguente principio: Il contribuente ha sempre il diritto di chiedere la rettifica della rendita quando la situazione di fatto o di diritto originaria non sia corretta.

La Corte chiarisce che l’istanza presentata dal contribuente non era una richiesta di autotutela, ma una domanda di variazione del classamento catastale, attivabile in qualunque momento.

Secondo la giurisprudenza citata (Cass. n. 2995/2015; Cass. n. 21010/2024), l’autotutela ha carattere discrezionale e non genera automaticamente un diritto al ricorso

Diversamente, la domanda di variazione, se rigettata, produce un provvedimento che incide su diritti soggettivi e quindi impugnabile.

La Cassazione inoltre ha chiarito che ai sensi dell’art. 74 della Legge 342/2000, le modifiche della rendita catastale producono effetti solo dalla loro notificazione, salvo che non si tratti di errori materiali da parte dell’Amministrazione. 

Se la variazione è frutto di una rettifica motivata da elementi nuovi o da un errore del contribuente, non può avere effetto retroattivo.

Nel caso in esame, l’errore (uso di un tasso di fruttuosità del 3% anziché 2%) era imputabile al contribuente, che l’aveva indicato nel proprio DOCFA. Per questo motivo, la revisione non poteva produrre effetti retroattivi.

La Corte ha quindi cassato la sentenza di merito che aveva riconosciuto l’efficacia retroattiva della variazione, richiamando la giurisprudenza (Cass. 26392/2019, Cass. 8543/2023, Cass. 24542/2024) che distingue nettamente i due casi.

Questa sentenza chiarisce che il diniego di variazione è un atto che incide sul presupposto dell’IMU, dell’IRPEF e di altri tributi, e quindi rientra tra quelli che possono essere impugnati.

La Corte ha chiarito che l’atto ha forma libera, ma deve comunque considerarsi impugnabile se:

rigetta un’istanza di variazione fondata su elementi di fatto;

produce effetti negativi per il contribuente.

La rendita catastale è un indicatore diretto di capacità contributiva. Un errore può determinare una tassazione maggiore e violare l’art. 53 della Costituzione.

È quindi interesse del contribuente e dell’Amministrazione stessa assicurare la veridicità della rendita, ma i rimedi giuridici devono tenere conto della decorrenza degli effetti e della fonte dell’errore.

La Cassazione ha anche precisato che i termini per l’impugnazione non si sospendono automaticamente: i Comuni devono adottare un regolamento specifico per applicare la sospensione prevista dalla Legge di Bilancio 2023 (L. 197/2022, art. 1, c. 199–205).

In assenza di regolamento, la sospensione dei termini non opera e i ricorsi fuori termine sono inammissibili, come nel caso del Comune